Il teatro non è il paese della realtà: ci sono alberi di cartone, palazzi di tela, un cielo di cartapesta, diamanti di vetro, oro di carta stagnola, il rosso sulla guancia, un sole che esce da sotto terra. Ma è il paese del vero: ci sono cuori umani dietro le quinte, cuori umani nella sala, cuori umani sul palco.
(Victor Hugo)
Provando a descrivere il processo di apprendimento con una metafora, viene in mente quella di un albero che non può fare a meno di scagliare i propri rami verso il cielo se non partendo da solide radici che affondano nel terreno.
L’esperienza con l’Attitude-Componenti emotive e soggettive delle competenze è stato un po’ questo: forse proprio perché ispirati dal verde dei vitigni veneti, come in un albero le basi teoriche radicate nel pensiero di Maxwell, Kolb, Spencer & Spencer, hanno preso vita diramandosi in un prisma esperienziale dalle diverse sfaccettature.
D’altronde il cuore del programma Attitude, come tutto il filone esperienziale della formazione, è proprio qui: nell’assecondare l’incontro fra la scienza e l’arte, fra la ragione e l’emozione.
La scienza, in questo caso, è quella del “cosa”, dei processi tecnici, o ancora quella che ci indica quali siano i modelli di competenza adatti ad uno specifico profilo professionale: qui flexibility, self confidence, impact. Ma dietro c’è molto altro: c’è il “come” ed il “perché”. C’è un bagaglio di attitudini personali, di emozioni, filtro attraverso cui ognuno declinerà, in maniera personale ed unica, il proprio set di competenze. Ed è proprio qui che entra in gioco l’arte: il modello Attitude ha scelto, in particolare, l’arte teatrale, in cui “tutto è finto ma niente è falso”.
Il Teatro è uno strumento d’apprendimento ma anche una metafora dei meccanismi e dei processi operativi in cui si agisce nel proprio lavoro: si indossano delle maschere e si recita in quelli che sono gli spazi di confine fra palcoscenico, backstage e platea. Il teatro è quell’esperienza dopo la quale ci si chiede: “Cosa è cambiato in me? Cosa ho portato di nuovo nelle acque del mio mulino?”. La formazione non a caso nasce per anticipare il cambiamento, per predisporre i profili professionali ad accogliere i mutamenti in atto nel proprio habitat professionale ed accompagnarli verso nuove frontiere operative.
Lavorare sul training emotivo è viaggiare seguendo la corrente delle emozioni, ponendo il partecipante al centro dell’esperienza formativa. Sondare l’immagine di sé, delineare i tratti della propria personalità, esumare la motivazione intrinseca che ci spinge ad agire orientando il nostro comportamento: sono esperimenti a cui il teatro stimola, guidandoci nell’acquisizione di una piena consapevolezza delle nostre competenze intangibili, che agiscono entro e oltre i confini del nostro ruolo professionale, e che dal semplice “sapere” trasmigrano verso il “saper fare” ed il “saper essere”.
Difatti, se la performance lavorativa è fatta di skills tecniche, vi è pero un’altra componente di risorse, attitudini e valori: è questa ad orientare il nostro modo di comunicare. Un comunicare di cui le parole sono solo un filo d’erba in un immenso prato, in cui fioriscono e germogliano anche tutti gli aspetti del linguaggio emotivo, para-verbale e non verbale. Il teatro, nella Attitude, è un allenamento emotivo, incentrato soprattutto su questi livelli di linguaggio, volto ad entrare in contatto e gestire le proprie competenze target come fossero esperienze personali, attraverso l’utilizzo di canali alternativi: è proprio in questo incontro col “palcoscenico” che giochiamo a trasformare la competenza in attributi e risorse proprie, da tenere in serbo come potenzialità. Il passaggio è la chiave di volta che orienta un comportamento all’eccellenza e favorisce l’empowerment.
Tra le mura di un salone quasi del tutto spoglio, abbiamo giocato con il nostro corpo: uno spazio vuoto da riempire con i nostri movimenti e con le nostre emozioni, divenute quasi palpabili. Ci siamo spinti oltre il confine della timidezza per sperimentare lati assopiti del nostro carattere, per poterli riafferrare e trascinare nel quotidiano. Abbiamo impersonato emozioni e le abbiamo espresse trasmettendole agli altri, ma non prima di aver imparato a cogliere e comprendere quelle altrui. Abbiamo improvvisato messe in scena, imparando a coordinare meccanismi con complicità.